Grazie ad una mia amica molto Speciale, non ché collaboratrice in questo blog ( E.S.), sono venuto a conoscenza di questo video. Come al solito cerco di prendere tutto con le "molle", ma se avevate letto il post COME NASCE IL BLOG già ne accennavo come un grosso business paragonandolo alle grosse compagnie petrolifere. Immaginavo che il lucro più grande ne derivasse da malati, cioè chi ha malattie approvate scientificamente. Il filmato parla, invece, di un business ancora più redditizio!
Rientriamo nel business in quanto abbiamo bisogno di medicinali che, per le nostre "complicanze", ci accompagnano lungo tutta la nostra patologia che aimè per tanti è la vita!
Quindi perché un' industria farmaceutica dovrebbe trovare una "cura" per la mielolesione se per la ricerca spende all' incirca il 30% dei profitti, considerando che all' interno di quel 30% sono presenti anche i nuovi utilizzi di un vecchio farmaco?Trovata la cura...via il farmaco! Wall Street e le ind. farmaceutiche su cui investono perché lo dovrebbero permettere se spendono miliardi di dollari a preparare il "mercato" già anni prima che il farmaco abbia...il suo "debutto"?Si potrebbe arrivare ad una cura (secondo il mio punto di vista) solo quando riusciranno a sperimentare un farmaco che ripristina le determinazioni nervose, dando al malato una dipendenza natural durante; cioè che implichi la sua assunzione per non regredire.Quasi spontaneamente mi viene da far riferimento ad un altro post qui pubblicato: I TOPI BALLANO. Propri lì la domanda sorgeva quasi spontanea: perché la sperimentazione si ferma ai topi e, perché ne esistono così tante e diverse fra loro?Ipoteticamente, quanto ragionato una piccola risposta potrebbe essere saltata fuori...Ricordo che il ragionamento che ho fatto è soggettivo e può variare in base alle varie interpretazioni che chiunque è del tutto libero di scrivere nei commenti di questo post!F.L.Fin ora abbiamo visto e considerato la situazione degli Stati Uniti (che come in qualsiasi cosa giocano un ruolo fondamentale nella scena mondiale), ma vediamo se qui in Italia le cose sono molto diverse...
l'Unità
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Malattie inventate, il bluff del'industia farmaceutica
FAR CREDERE a una persona sana che è malata, medicalizzando aspetti naturali della vita. È un modo per allargare il mercato dei farmaci. Ed è quello che, secondo alcuni, sta avvenendo in questi anni
● di Nicoletta Manuzzato
Vendere sempre di più è il dogma del mercato. Per aumentare i consumi (e quindi i profitti), niente di meglio che una buona campagna pubblicitaria in grado di creare nuovi bisogni. Succede anche nel campo della medicina: nel mondo anglosassone la chiamano disease mongering, espressione che potremmo tradurre con «vendita della malattia». Il metodo è semplice: basta medicalizzare aspetti naturali della vita, come la menopausa; trasformare disturbi lievi in malattie serie o dipingere come patologie semplici fattori di rischio, quali il colesterolo alto e l'osteoporosi. Il tema è all'ordine del giorno. Dal1' 11ai 13 aprile ne hanno discusso a Newcastle, in Australia, medici, ricercatori. farinacologi, associazioni di consumatori. E sempre in aprile la rivista Plos Medicine ha dedicato ben undici articoli alla trasformazione dei medicinali da strumenti di salute a beni di consumo. «Un tempo a orientare il lavoro dell'industria farmaceutica erano i medici, i ricercatori. Oggi è il rnarketing che detta le regole», afferma il professor Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. «Per più di 5.000 malattie rare sono apparsi in cinque anni solo venti nuovi farmaci, mentre per il trattamento dell'ipertensione abbiamo in circolazione circa 360 confezioni di una sola classe (ve ne sono altre quattro). Proprio I'ipertensione è uno dei settori di punta dell'offerta farmaceutica. «Certo - spiega Garattini - se si abbassano i livelli di normalità per la pressione sanguigna, come quelli per la colesterolemia o per la densità ossea, prima o poi tutti avremo bisogno di qualche pillola. E gli antidepressivi? Dal livello dei consumi sembriamo un paese di depressi. In realtà la vera malattia depressiva, che va curata, colpisce un numero relativamente basso di persone. Per gli altri si tratta di stati depressivi, provocati da un lutto o da un'avversità: eventi che fanno parte della vita e che andrebbero affrontati come tali. Lo stesso discorso vale per la moda degli integratori alimentari, dei prodotti per la vecchiaia o per la memoria, degli antiossidanti, una moda priva di ogni evidenza scientifica». Le distorsioni sono presenti già a monte. Attualmente la maggior parte dei medicinali viene approvata in sede europea dall'Emea (European Agency for the Evaluation of Medicina1Products), che farife- rimento alla Direzione Generale dell'Industria, anziché alla Direzio- ne Generale della Sanità, come sarebbe più logico.« L'approvazione si basa su tre criteri; la qualità, I'efficacia e la sicurezza
- afferma Garattini - non è necessario però fare confronti, dimostrare il valore aggiunto di un nuovo farmaco: questo facilita l'immissione in commercio di prodotti sostailzialinente identici a quelli già esistenti. E poi c'è il grande segreto che circonda i dati scienfifici, il mancato accesso alla documentazione farmacologica, alla documentazione clinica originale».
Una volta approvato, il prodotto deve essere presentato agli addetti ai lavori. Gli strumenti della comunicazione (dai congressi alle pubblicazioni del settore) sono in gran parte in mano all'industria e questo spiega perché, tra tutti gli studi su un nuovo fannaco, hanno maggiori probabilità di giungere alla stampa quelli favorevoli, a scapito di quelli che mettono in luce gli aspetti negativi. Vi è poi la presentazione «porta a porta»: in Italia sono presenti quasi 35.000 informatori farmaceutici, ciascuno dei quali deve contattare ogni giorno otto medici. Gli informatori sono pagati anche in base agli aumenti delle vendite: non ci si può aspettare che reclamizzino gli effetti tossici di un farmaco o la sua inutilità.
Le grandi compagnie giustificano la loro corsa al profitto con gli alti costi della ricerca. «Le cifre rese note dalla stessa industria farmaceutica smentiscono questa affermazione - puntualizza Garattini - Mentre le spese per la promozione superano il 30% del fatturato, quelle destinate alla ricerca rappresentano meno del I O%. E vengono indirizzate a settori in grado di garantire un immediato ritorno economico e di proteggere dai rischi del mercato. Niente malattie rare, dunque, e niente malattie del Sud del mondo (dalla lebbra alla malaria), dove gli ammalati sono tanti, ma non sono in grado di pagare. «Anche nei paesi ricchi, chi studia i farmaci per i bambini? E più semplice trattarli da piccoli adulti e calcolare la dose in base al peso corporeo; ma i bambini sono organismi in via di sviluppo, non hanno le stesse caratteristiche degli adulti. Chi si occupa di studiare rimedi per i pazienti resistenti alle comuni terapie farmacologiche? Sono troppo pochi. E così via...» afferma il professor Garattini. Che conclude con l'esempio dell'aviaria. «Sono stati coinperati vaccini senza sapere se saranno veramente necessari, invece di usare quei soldi per sanare le aree che costituisconoi serbatoi della malattia, risolvendo il problema una volta per tutte».